Si avvicina il sabato, e con esso il vostro appuntamento con Sentieri Sonori!!
Appuntamento speciale, questa settimana, il terzo dei Sentieri Sonori estivi: come è ormai tradizione, approfittiamo delle settimane estive per proporvi una carrellata di alcune fra le più belle interviste della stagione appena conclusa, lunga, ricca e quanto mai densa di ospiti.
Questo sabato inizieremo andando indietro nel tempo, al 6 febbraio, quando siamo tornati ad occuparci di un progetto molto particolare, che vi avevamo presentato nel maggio 2015 con una bella intervista (qui il podcast).
Era stato (ed è stato di nuovo) con noi Massimo Baiocco, già cantante e chitarrista dei Frangar Non Flectar, rockband romana che vi abbiamo più volte fatto ascoltare e che abbiamo anche portato in concerto a Lussemburgo (qui una testimonianza video dell'inizio) quasi quindici anni fa.. Pur senza esserci ufficialmente sciolta, la band è in stand-by da qualche tempo. Oltre ad essersi da molti anni dedicato alla chitarra classica, con un'intensa attività concertistica, Massimo ha dato vita ad un progetto molto interessante, Tamurakafka, sfociato in un primo disco particolarmente affascinante. Un album nel quale è riuscito a riunire in maniera mirabile le sue varie anime musicali, rock, cantautorato ed appunto musica (neo)classica, con la partecipazione di una serie di ottimi musicisti, inclusi altri FNF.
II 25 gennaio è uscito il loro nuovo concept album, Sonmi-451, liberamente ispirato al romanzo di David Mitchell Cloud Atlas: un viaggio attraverso quindici brani, che traggono il nome dai personaggi del libro e dalle sue atmosfere. "Il racconto di Mitchell è per Tamurakafka uno spunto da cui partire per riflettere sulla funzione dell’arte, sulle relazioni umane e sul futuro. In Sonmi-451 le diverse forme e generi musicali aiutano a rappresentare sensazioni e conflitti del vivere contemporaneo. La band si affida alla teoria degli affetti di seicentesca memoria, in cui si identificava ogni affetto con uno specifico stato d'animo (es. gioia, dolore, angoscia) che veniva rappresentato da particolari figure musicali definite figurae o licentiae (licenze), ossia piccole anomalie inserite nell’andamento del brano per suscitare determinate emozioni nel pubblico. Nell’album è presente anche la forma del reading: i temi concettuali che si ritrovano nelle parole del narratore rappresentano la struttura portante del lavoro. In linea con l’idea che il mondo è fluido e che i concetti sono gabbie che limitano la libertà, i generi musicali restano volutamente poco definiti e poco riconoscibili, lasciando tutto aperto all’interpretazione e al sentire personale."
Il 21 novembre abbiamo dato il bentornato ad una band che abbiamo già ospitato più volte, ormai affermatasi fra le grandi realtà del rock italiano.
Parliamo di The Zen Circus, che nel 2018 hanno pubblicato il loro decimo album, ad un anno e mezzo dall'ottimo La terza guerra mondiale, che vi avevamo presentato con un'intervista al batterista Karim Qqru (qui il podcast). Tre anni fa è stato invece con noi il bassista Ufo (qui il podcast), per parlare de Il fuoco in una stanza, che ha rappresentato un ulteriore passo in avanti nella costante crescita della band toscana. Li abbiamo poi ritrovati due anni fa sul palco di Sanremo, con gioia: siamo sempre felici quando gli artisti che amiamo riescono ad arrivare ad un pubblico più ampio, senza per questo snaturare la propria musica. È sicuramente il caso degli Zen, che al Festival hanno festeggiato i propri (primi) venti anni di musica, celebrati anche con Vivi si muore 1999-2019, raccolta di 17 brani della loro storia, rimasterizzati per l'occasione, con due inediti.
Il loro nuovo splendido album si intitola L'ultima casa accogliente: "Il nostro corpo è l’ultima casa accogliente, l’unica navicella spaziale in grado di farci viaggiare attraverso l’universo dell’esistente. Un corpo trasparente, visibile e vulnerabile che celebriamo con nove canzoni fatte di testa, cuore e polmoni. Case che possono essere sia rifugi che prigioni, circondate da tante altre e tutte diverse, a formare questa enorme metropoli chiamata umanità. Più suonato che pensato, più bene di conforto che prodotto, questo disco è musicalmente il più libero che abbiamo mai fatto."
Il 22 maggio siamo stati lieti di dare il benvenuto a quello che è senza dubbio uno degli artisti più interessanti ed originali della musica italiana degli anni 2000.
L'anno prossimo ne saranno passati quindici dal primo demo de Le Luci della Centrale Elettrica, cui è seguito nel 2008 il debutto Canzoni da spiaggia deturpata, che ha fatto conoscere l'allora ventiquatrenne Vasco Brondi, ed il suo mondo lirico e musicale. Un percorso continuato con altri tre album, un EP e chiusosi con una raccolta nel 2018. L'anno successivo la sua versione di Smisurata preghiera è uscita a suo nome e cognome in un tributo a Fabrizio De André, così come qualche mese fa un disco dal vivo registrato la scorsa estate, che unisce sue canzoni a cover e poesie di altri autori da lui recitate.
Il 7 maggio ha pubblicato il suo nuovo album, Paesaggio dopo la battaglia, pensato, scritto e costruito in quest'ultimo anno. Lo presenta così: "Dopo un lungo periodo senza toccare una chitarra mi sono rimesso a scrivere mentre il mondo che conoscevamo cambiava radicalmente. Ne è uscito un disco di racconti per voce e cori, per orchestra e sintetizzatori. In ogni canzone c’è qualcuno che ricerca fiduciosamente anche in tempi difficili tra le leggi della città e quelle dell’universo. Dopo la battaglia c’è una pace incerta, piena di ferite e piena di sollievo. C'è qualcuno che chiama un nome tra le macerie, qualcuno che risponde." Il risultato è uno splendido lavoro, che unisce le sue grandi capacità liriche a mondi sonori vari ed affascinanti, emozionando profondamente.
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